venerdì 23 dicembre 2011

2011/2012



                                                                                
                                                                               

mercoledì 14 dicembre 2011

L'architettura del Paese


Probabilmente è solo una impressione personale dovuta – mi azzardo a credere – al fatto che dal momento in cui, anche a Siena, si è passati al Digitale Terrestre, non vedo più La7.
Sarà puerile, ma senza i telegiornali di Mentana e l’Infedele di Lerner, mi è sopravvenuto un verticale calo di interesse verso le altre fonti di informazione televisiva e, soprattutto, verso le contrapposizioni consuete tra troppi pareri che si vogliono ognuno distinguere.
Una sorta di rottura in pezzi di uno specchio, di una logorante ricerca delle differenze di valutazione. È vero che ci sono i giornali, ma statisticamente pesano meno: anche se alcuni sono ottimi giornali.
Nel bailamme i partiti sembrano non esistere più – alcuni forse non sono mai esistiti – e, di conseguenza, si avverte un vortice di voci preoccupate solo di essere discordi.
Le eccezioni ci sono ma, paradossalmente, sembrano a volte una stanca ripetizione. Penso a Casini, che però, si voglia o no, è fermo nell’appoggiare il governo Monti e tutte le sue decisioni. In effetti la Manovra proposta meritava da subito alcune integrazioni e modifiche nella direzione della equità sociale: che mi immagino difficile, quando il rimedio deve essere di necessità rapidissimo, prima che il paese malato tiri le cuoia. Tutto questo quando siamo – come Italia intendo dire – una delle cosiddette “potenze economiche”. Ma se l’Europa è ancora un nano politico, figuriamoci l’Italia dopo la troppo lunga esposizione alle luminose qualità dei governi Berlusconi.
Lasciamo stare la sinistra, con il PD che è, tutto sommato, coerente nell’aderire all’impegno politico-morale che nasce dal Presidente della Repubblica e dalla presenza di un Governo di persone almeno competenti ed oneste. Ma la cosiddetta sinistra, che non è oggi in Parlamento e che forse non ci sarà mai, si renda conto della supponenza sterile delle sue presunte purezze ideologiche. I sindacati sembra che, tutto sommato, siano costretti a fare il loro mestiere, quasi fino a ricomporsi. Ma fino a quando?
Confesso che, a questo punto, nella durezza delle scelte fatte qualche segno di maggior apertura sociale sia per ora il massimo risultato possibile per potere, poi, ricostruire l’architettura di questo paese.
Vedere Monti ascoltato con attenzione in Europa e Napolitano caro alla gente è già un bel passo in avanti.
Non facciamo gli stupidi: uniamoci con le diversità compatibili.

A.M. 

Il disegno è una composizione variabile di Augusto Mazzini. Diritti riservati

giovedì 1 dicembre 2011

Ovunque tu sia

Un carissimo amico, svegliandosi da un lungo coma, immediatamente presente a se stesso, chiese: "Ma c'è ancora Berlusconi?".
Solo ora gli si potrebbe dire:"Non c'è più: diffondi la notizia".

lunedì 28 novembre 2011

Si può parlare bene di una nostra architettura?



Siena, centro commerciale "Le grondaie", Unicoop Firenze, 1997-99
  • Il testo di Carlo Nepi su "L'industria delle costruzioni" n. 348, ottobre 2000, p.p. 26-35, è di particolare ricchezza interpretativa. Foto: Bruno Bruchi

mercoledì 23 novembre 2011

Dal merito al talento

                            
Il merito oggi sembra comporre, insieme a onestà e dignità, la triade di valori che dovrebbe impregnare di sé l'azione politica e amministrativa: cioè il governo a qualsiasi scala esso sia. Questo per far emergere la buona politica affinché sconfigga l'antipolitica: il qualunquismo, si sarebbe detto una volta, aperto alle più squallide e pericolose avventure.
Per le persone che sono dentro le pubbliche amministrazioni, o che aspirano ad entrarci (oggi le porte sono strettissime data la crisi) si tratta di valutarne le capacità ad esercitare il ruolo in cui già sono, per essere promosse; o a cui dovranno accedere per la prima volta. A giudicarle saranno di norma persone che guidano la struttura o comunque hanno in essa funzione di comando, direzione, controllo. Non sarebbe meglio affidarsi, totalmente o parzialmente, a persone esterne che siano dotate di accertata e specifica competenza e, insieme, di comprovata autonomia di giudizio? E magari capaci di trarsi fuori dalla attuale foresta della miriade di norme che hanno burocratizzato, e nello stesso tempo avvilito, le strutture amministrative; rovesciandosi alla fine sul cittadino. Certo un taglio drastico della foresta falsamente garantista sarebbe una delle riforme più urgenti.

Ma le pubbliche amministrazioni, e anche quelle di tipo pubblico, hanno spesso il problema di affidare all'esterno incarichi: consulenze, studi, progetti, etc. Allora qui non c'entra più, anche perché risulterebbe ambiguo, il merito. C'entra la qualità: professionale, creativa, collaborativa, etc. Fino ad arrivare, in casi specifici - ad esempio le prestazioni progettuali o artistiche - al talento.
Si è visto che i concorsi, che dovrebbero essere la strada più adatta per la scelta, in realtà non lo sono affatto. In Italia, spesso, sono anzi il luogo, l'occasione, in cui prevalgono, anche subdolamente, le trasversalità: di cui la nostra società è oggi ricca. Il PIL (davvero "prodotto interno lordo") delle trasversalità è l'unico che cresce: partiti e loro correnti o camarille, massonerie di vario tipo (vere o presunte), appartenenza a concatenazioni poco chiare che, da minoranza offesa, si sono magari trasformate in potenti lobby sotterranee, etc. Diciamo la verità: in questi casi il talento spesso non ha scampo. Sarei in grado di fare diversi esempi di concorsi di progettazione urbanistico-architettonica, che oltretutto non hanno generato alcuna realizzazione. 

Etimologicamente talento nasce in Grecia come unità di misura di peso, moneta: dunque un valore concreto.
Oggi è molte qualità insieme; quando il talento è grande, è in sé una qualità concentrata. Certamente esso, se è tale, è anche garanzia di libertà, autonomia, coraggio.
Ha scritto Giuseppe Mazzini:"Bisogna ch'io rappresenti in atti quella ch'io credo verità. Non devo nascondere sotterra il talento, ma farlo fruttare".
C'è poi chi ha scritto che oggi "più della qualità conta l'opportuno tacere". E il talento, come si è visto, è, rispetto alla qualità, un gradino ben più alto.
Dunque ancora più difficile da riconoscere anche con gioia, come si dovrebbe.

A.M.

venerdì 18 novembre 2011

Senza titolo


Parole drastiche, giudizi senz'altro sbrigativi: i tempi lo richiedono. Per il Governo che, avendone titolo, avrei approvato senza riserve, basta la straordinaria vignetta di Giannelli sul Corriere della Sera di ieri, dove si vede Napolitano seduto al ristorante con la Lista in mano e il cameriere Monti che così gli descrive il piatto proposto: "SURGELATI, MA OTTIMI BOCCONI!".
Per il resto invece, un giudizio a sinistra e uno a destra. La Lega escludiamola, ormai: con tanti "milanesi" al governo ha i voti contati.
A sinistra il malcontento d'obbligo: l'altezzosa insofferenza di mature signore da Manifesto; la solita affermazione prevedibile in ogni occasione dei leaderini; la stupidità degli studenti, per fortuna pochi, che, già fissate le loro manifestazioni, si appropriano immediatamente di slogan opposti al "governo dei banchieri". Meglio forse gli sbancatori di denaro e di scuola pubblica appena usciti?
Per la destra il gioco delle parti, triplo: Alfano che appoggia il nuovo Governo come se fosse la prosecuzione della sciagurata compagine che l'ha preceduto; Berlusconi che tace in Parlamento, lancia pietre mascalzonesche in privato ma subito diffuse, per poi negare, al solito, di averle tirate.

A.M.

venerdì 11 novembre 2011

Uomini e topi

I livelli della politica e dei "politici" (meglio usare le virgolette per comprenderci anche quelli che dovrebbero fare altro - o niente che è anche meglio), i livelli dicevo, sono così tanti, e marcati, che sarebbe meglio parlare di dislivelli.
La crisi in atto, economica per tutti i paesi, anche politica per alcuni, è per l'Italia più grave quella politica perché concausa determinante di quella economica. Si leggono, infatti, nei comportamenti politici, differenze non tanto di schieramento, che sarebbe normale, quanto di qualità, spessore, competenza, equilibrio, onestà, dignità, senso civile e il loro contrario; si va da un estremo all'altro: fenomeno reso possibile dai meccanismi elettorali che hanno scaraventato in parlamento persone di ogni tipo non scelte dagli elettori, ma indicati dai partiti: chi più chi meno, ma nessuno escluso.
Nella massa dei parlamentari, ormai anche eccessiva, sembra avere prevalso la  cattiva merce; e dispiace per le persone di valore, che pure ci sono.
Senza ri-dire male le cose che altri hanno già detto, e stanno ancora dicendo, è meglio limitarsi a fare esempi diversamente significativi, limitandosi al centro sinistra e la sinistra in generale.
Primo: l'insopprimibile volontà di alcuni ex leader di rimanere sulla scena, trovando pretesti per distinguersi, specie nei momenti difficili, solo per rimanere visibili. O leader di partiti minori che perdendo di vista la priorità assoluta - la salvezza del paese - preferirebbero le elezioni subito per crescere di qualche punto, ormai fuori tempo massimo però.
Secondo: il ricomparire, come da pertugi che si aprono solo quando c'è odore di elezioni, di figure fuori gioco (cioè fuori dal Parlamento) che rappresentano poco più che se stessi, considerando la loro coerenza sul nulla una medicina da riproporre. Meglio non fare nomi, ma uno si può: tale Rizzo, che ricompare nei momenti inopportuni con la sua poco credibile fedeltà a non si sa bene che cosa.
Terzo: il Presidente della Repubblica, che in questo dramma  è stato ed è l'unico capace di rappresentare  l'Italia nei fondamentali rapporti internazionali.
Scalfari, severo interprete della realtà del paese, lo ha definito, per la nomina di Mario Monti a Senatore a vita, un "genio della politica". E Scalfari non è normalmente generoso verso gli altri, specchiandosi spesso su sé stesso.
Augias, più attento alla perfetta forma dell'atto con cui Napolitano ha riempito  il suo posto vacante tra i Senatori a vita, ha definito l'operazione della nomina di Monti "un ricamo".
Ed è con questo atto che forse ce la caveremo.
Spesso la complessità si schiarisce con atti apparentemente semplici.

A.M.


mercoledì 2 novembre 2011

Repetita iuvant


I segnali positivi riguardanti l'assetto urbano di Siena che arrivano in prima persona dal Sindaco, mi spingono a "pubblicizzare" una nota in dieci punti che, diversi mesi fa, avevo scritto senza mandarla poi a nessuno, mi pare. Sono cose che poi ho via via ridetto e che, sicuramente, oggi andrebbero approfondite meglio. Dovessi comunque individuare ora delle priorità, considerando che lo stato di crisi e le difficoltà che toccano anche la nostra città costringono a selezionare, direi:

  • politicamente il punto 1, cioè l'allargamento dei confini comunali ove ritenuto più necessario
  • urbanisticamente il punto 9, cominciando intanto a studiare le difficili soluzioni per l'area stazione/strada fiume.
  • praticamente il punto 3, relativo alla pedonalità; mentre per i parcheggi speculativi entro le mura il pasticcio è già fatto, per merito della precedente gestione urbanistica
A.M
Cliccare sul documento e su "Show original" per renderlo leggibile

martedì 25 ottobre 2011

Campospregio

Alessandro Maffei, Veduta di Siena dalla Chiesa di San Domenico, prima metà del secolo XIX

Ormai l'occupazione privata e la trascuratezza pubblica dei luoghi, che dovrebbero essere intoccabili per come sono e dove sono, sono già oltre il giusto limite di sopportazione; e di decenza, per una città che giustamente vuole ambire ad essere, nel 2019, Capitale Europea della Cultura.
Saremo capaci di tornare indietro per andare avanti? "Ma mi faccia il piacere!" direbbe il principe Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio Gagliardi.
Limitiamoci all'esempio forse più ricco, cioè più sfacciato. Si tratta della fascia che guarda la città storica, andando dall'inizio di San Prospero, dove furono tagliate le mura nel 1919, fino a San Domenico - inizio di via della Sapienza e, scendendo, via di Camporegio. Qui ogni possibile spregio è stato sperimentato. Un rapido elenco: l'affaccio alla destra del cosiddetto Appaltino (per chi non è di Siena l'ex dazio o gabella, oggi piccolo supermarket) è rovinato da almeno tre presenze: parcheggio lungo il bordo strada che taglia la veduta, cassone dei rifiuti proprio nel punto in cui meglio si può rovinare la visione del Duomo, privatizzazione del magnifico taglio tra Appaltino e taglio delle mura.
Poi la zona di San Domenico: segnaletica di tutti i tipi necessari per dis-orientare, paletti e catene a sfare, postazione complessa dei Telepass che si proiettano proprio contro la silhouette del centro storico.
A seguire, estensione coperta e chiusa a vetri di un esistente bar d'angolo con via della Sapienza. Il volume chiuso dà prova della sua presenza non stagionale grazie a una padella/parabola posta sul retro: che è anche un davanti.
Infine Caporegio, nome impegnativo; luogo di densa osservazione sul corpo più straordinariamente in mostra della città storica; qualche panchina di ferro addossata al lungo muro, una siepe bassa, normali passanti. Per lungo tempo non c'è stato alcun parcheggio e sull'antico muro si aprivano solo poche botteghe artigiane e una cantina privata.
Oggi niente è più come prima: i cambiamenti non sono tutti recenti, ma ora siamo alla distruzione del luogo attraverso la sua completa e privata mercificazione. Hanno cominciato le attività di ristorazione: prima timide, poi accattivanti (Nonno Mede, che purtroppo non abbiamo avuto la fortuna di conoscere), infine più strutturate e spocchiose. Le proiezioni all'esterno su suolo pubblico, certamente concesso per rendere la città più ricca di offerte per i visitatori, sono cresciute di numero e di dimensione; non so se siano mai state stagionali, ma le strutture di copertura e chiusura aspirano chiaramente ad una continuità temporale: ventilatori d'estate, arrostimento dall'alto d'inverno. Anzi, ora siamo certi che è così, perché proprio domenica 23 si è inaugurato un nuovo ristorante dal nome originale: "San Domenico". Il quale avrà - anzi ha già - un "Dehor riscaldato con vista mozzafiato (e mozzarella? n.d.r.) sul Duomo e sulla Torre del Mangia".
Dehor è, in parole povere, un volume posto all'esterno: certamente autorizzato. Si restringe, quindi, ulteriormente lo spazio pubblico e il pubblico passaggio/passeggio.
Da ultimo, ma non per ultimo, un garage privato ma, si immagina,  messo a disposizione di chi verserà l'obolo richiesto per usarlo. Quindi richiamo di auto e definitivo taglio della bella continuità del muro esistente e antico. 
Ma per finire con il tripudio, ecco come è stato rimediato il difficile problema della grande porta del garage (la cui vicenda urbanistica è piuttosto intricata): quale materiale usare, quale colore? Nessuna paura: la porta è stata rivestita con le stesse pietre del muro, mi immagino ridotte a fettine, ma poste in continuità con esso. Una vera bellezza. Sono porte rare: le produce la ditta Sesamo, compresa l'apertura vocale!

Giardino pensile e vigna distrutti per un garage, come mai? del 23/02/2011

lunedì 17 ottobre 2011

Parcheggio impertinente


Spero che ormai la mia opinione sul parcheggio "pertinenziale" in via Garibaldi, la cui lunga storia si avvia al lieto evento, sia nota. Se non lo è non la ripeto, comunque. Si trattava di un errore ambientale e urbanistico: ora è qualcosa di peggio. Sia chiaro che l'eventuale qualità progettuale dell'errore non migliora le cose.
Dunque si farà: è già stato assegnato l'appalto - a quello che ho sentito dire - con il 48 % di ribasso. E mi tornano subito in bocca le parole del grande architetto di Luigi XIV, il Marchese di Vauban: che non ripeto per non annoiare.
Auguri all'Impresa e al Direttore dei Lavori.
Se è vero che il prezzo di un posto macchina è tra i 40 e i 50 mila euro, complimenti anche per gli acquirenti: specie chi avrà tre posti gratis e chi investirà d'un botto su 35 o 45 posti macchina. Si parla di un investitore di tipo semi-pubblico che, avendo la sede vicina, può ritenere e sostenere che quei posti macchina siano anche "pertinenziali".
Si sposterà, a monte dell'uscita/ingresso al parcheggio, il marchingegno Telepass: che forse sarebbe stato meglio farlo prima, senza bisogno che lo imponesse la nuova presenza "pertinenziale".
Chi vorrà fare una sua storia della vicenda troverà un iter urbanistico contorto, strane combinazioni, accordi vantaggiosi, presenze singolari. Non troverà invece né un parzialissimo sollievo al traffico e alla sosta, né - tanto meno - un arricchimento della qualità ambientale. Ma a chi interessa.
E poi non si deve essere troppo impertinenti: meglio l'opportuno tacere.
A.M.

L'onda lunga

Se il nostro, come ha detto con sicura competenza il nostro Presidente del Consiglio, è un "paese di merda", non c'è niente di strano che vi si trovano a loro agio gli stronzi. È una tautologia elementare ma purtroppo vera.
Veniamo ai fatti, in sé assolutamente positivi. Renzo Piano ha progettato, con la collaborazione di Claudio Abbado, il ligneo Auditorium per la città de L'Aquila; finanziato dal Trentino per 6,3 milioni di euro, già aggiudicati i lavori, l'apertura dei cantieri prevista a settembre. Ma ecco sbucare ricorsi e sospensive che potranno ritardare l'inizio dei lavori anche di un anno (basterà?); ma fin qui siamo nella normalità di un paese  anormale come il nostro. E neppure due fra i più grandi nomi - Piano e Abbado - che l'Italia può vantare riescono a frenare l'ondata.
Anzi, il contrario, perché dall'onda emerge prepotentemente la sagoma di Paolo Portoghesi con un attacco all'opera di Piano: "Meglio per lui se il progetto fosse rimasto sulla carta".
Che lui sia ostile per motivi suoi a Renzo Piano è un aspetto che riguarda la sua statura intellettuale; ma la tempestività della sua uscita, addirittura sull'Osservatore Romano, è perlomeno sospetta, come si dice. Essere insieme studioso di fama e architetto mediocre compone a volte una miscela adatta forse al mare in cui ha scelto di navigare.
A.M.



Auditorium realizzato da Renzo Piano a Parma recuperando un esistente edificio industriale


riferineti:
Progetti e concorsi, il Sole 24 ore, 26 sett/1 ott, pagg. 3 e 5
Intervista di Curzio Maltese a Renzo Piano, La Repubblica, 20 Dicembre 2009, pagg. 1, 29

giovedì 6 ottobre 2011

Niente di personale


Il complesso che costituisce di fatto l'emergenza più significativa del quartiere di Torre Fiorentina, lungo la via Bernardo Tolomei, è ora in evidenti condizioni di degrado. È lì da trentacinque anni, quando fu subito bollato come centro affari; mentre in realtà la proprietà era pubblica (Comune di Siena) o di tipo pubblico (Cassa di Previdenza MPS); e credo sia ancora così.
Era stato concepito come il primo tentativo, in quella periferia disorganica fatta di edifici singoli, di costituire un nucleo di tessuto urbano capace di dare identità a quel luogo centrale. Fu, per la prima volta in "epoca moderna", usato di nuovo il colore: per gli infissi, le lunghe canne fumarie, gli interni dei corpi scala. Mai stato riverniciato! Anche se non particolarmente amato dai Senesi fu pubblicato da Bruno Zevi nella sua Rivista “L’architettura, cronache e storia”. E successivamente, fino alla recentissima rassegna “L’architettura in Toscana dal 1945 ad oggi – una guida alla selezione di rilevante interesse storico-artistico”, è stato pubblicato sulle più importanti selezioni di Architettura Contemporanea in Toscana e in Italia. Vedi, ad esempio, il volume (quarto della serie “L’architettura Civile in Toscana") “Dall’Illuminismo al Novecento”, 2002 Monte dei Paschi di Siena SpA, a cura di Amerigo Restucci.
Non è fuori luogo pensare, in assenza di una mai praticata manutenzione ordinaria, che esso meriti ora addirittura di essere restaurato. Che poi per le proprietà dovrebbe essere quasi un obbligo, anche economico, verso un proprio bene. Oltretutto Siena potrà essere davvero Capitale Europea della Cultura se sarà capace, tra l’altro, anche di proiettare nel futuro il suo moderno patrimonio architettonico.
A.M.


mercoledì 5 ottobre 2011

Un Sacco bbello


Non è affatto sbagliato che Siena aspiri  ad essere nel 2019 Capitale Europea della Cultura.
È bene, anzi, avere questa stimolante ambizione, essendo consapevoli però che il passato non basterà. E Siena è una delle concorrenti italiane, quando tutte le città italiane soffrono, chi più chi meno, di pesanti handicap rispetto alle città Europee, le quali si sono arricchite nel tempo di nuove potenzialità. Vogliamo paragonare il livello di qualità urbana, di organizzazione dei servizi, di arricchimento delle strutture culturali e delle infrastrutture all’altezza dei tempi, che è stato raggiunto da tante città Europee?
L’Italia nel suo insieme, con rarissime eccezioni, è rimasta indietro: e anche la nostra città. Così, mentre magari si mettono già in campo intelligenze esperte e volontà politiche, la capacità concreta del fare è ancora terribilmente scarsa. Lo dimostrano gli aspetti, più volte sottolineati, delle normali funzioni della manutenzione urbana: attualmente sotto lo zero. Non c’è diffusa e ordinata organizzazione, sono sparite esistenti funzioni e relative competenze: la stessa ordinaria manutenzione è assente o episodica. Eppure bisogna che gli ambiziosi progetti ripartano da lì, altrimenti non saranno credibili e perciò falliranno. Non è certo sufficiente aver già individuato per l’ambizioso obiettivo una Direzione di alto livello (Pierluigi Sacco), che ha già formulato una strategia molto netta; la quale, però, in carenza di punti di partenza concreti e rapidi, può rischiare di configurarsi come rassicurante e quindi buona per tutte le occasioni.


venerdì 30 settembre 2011

L'"urbanistica" come strumento di oppressione

da La Repubblica del 29/07/2011

L'attuale Governo Israeliano moltiplica o infittisce infrastrutture invalicabili e insediamenti densi e ambientalmente ostili, fino quasi a soffocare e frammentare gli storici insediamenti Palestinesi.
Beith Jala, Beith Sahour, in sostanza Betlemme, sono come aggredite. Dire questo fa male al cuore e alla mente di chi ha amato e ama gli ebrei per la loro storia. Specie ora che si riaccenderebbero, a livello internazionale, speranze di giuste soluzioni.



martedì 27 settembre 2011

La pedonalità demolita


da Gerard Fromanger


Karl Kraus, con la sua personale rivista “Die Fackel”, La fiaccola, si occupò con grande libertà di critica anche di aspetti apparentemente minuti di Vienna: segnalando e dando indicazioni, “giudice” odiato e temuto. Abbassandosi anche al livello di cittadino comune.
Figuriamoci se non lo possiamo fare noi che già lo siamo.
Io, ad esempio, credo di aver proposto, al momento dell’insediamento della nuova Giunta Comunale, un paio di cose da fare subito: tra cui – come segnale rapido e significativo da attuarsi con decisione – la restituzione ai pedoni dei loro spazi ormai ridotti per lo più ad aree o anfratti di sosta per i veicoli. Spesso addirittura autorizzata, comunque tollerata, dalla pubblica amministrazione e dal suo strumento operativo in materia: la Siena Parcheggi, più attenta, sembra, al proprio bilancio aziendale che al pubblico vantaggio. Non solo in termini di uso specifico degli spazi, ma anche di qualità ambientale di aree fondamentali.
Ormai siamo ad un punto in cui la pedonalità  senese, vanto storico della città, è in grave crisi ed è di nuovo necessario, meglio dire indispensabile, un piano integrale ed integrato della mobilità: evitando però di rinviare nel frattempo le possibili immediate azioni.
È per ciò con interesse che ho letto sul tema due conseguenti articoli sul Corriere di Siena: ciò significa che il problema fa parte anche del comune sentire; ma senza troppe illusioni, perché le  persone sono coi pedoni quando sono a piedi, e se lo dimenticano presto quando cavalcano, ad esempio, i cosiddetti motorini. Che cono ormai aggeggi anche costosi, con prolunghe posteriori di grande ingombro.
È con interesse, dicevo, che ho letto sul Corriere di Siena, due articoli, ben fatti, e soprattutto documentati fotograficamente, il 23 e 24 settembre, a firma di Gaia Tancredi e Sara Corti. Da condividere in pieno. Ed era già apparso a riguardo un sintetico e rigoroso intervento di un lettore: sugli attraversamenti urbani fuori norma e pericolosi.
Penso francamente che la Siena Parcheggi sia ormai uno strumento parziale, inadatto e autofagico; forse di quegli organismi da sciogliere (più delle Province) recuperandone, se esistono, le competenze dentro la struttura interna della Civica Amministrazione e, di conseguenza, entro una politica per la città e i cittadini. Andando oltre il cosiddetto Piano di cinque anni fa, del resto mai attuato.
Occorre ora uno studio, con conseguente progetto, della mobilità che tenga insieme la città e il suo più esteso territorio urbano; che preveda infrastrutture e anche mezzi di spostamento di nuova concezione; nuove limitazioni e nuova organizzazione della circolazione di persone e merci; rafforzando morfologicamente la struttura della Siena più grande; ed estendendo subito una sicura e molteplice organizzazione della pedonalità.
Stiamo diventando un paese più povero, rendiamolo più sobrio: meno SUV costosi e motorini; troppi ragazzi e ragazze viziati e uomini maturi al limite della ridicola esibizione.
Siena è già stata capitale europea della pedonalità (1965). Lo può ridiventare, anche se la vedo difficile a causa, soprattutto, della carente cultura della mobilità che è oggi, ormai, solo circolazione diffusa e schizofrenica.

A.M.




"Maledetti Pedoni!!" (2002) di Tommaso de Sando con Paolo Lombardi

lunedì 19 settembre 2011

Filing 2


Chiudevo il precedente post (Filing) scusandomi: e mi è stato detto che non ce n'era bisogno.
E invece si, eccome!
Dico la verità: più giornali si comprano e peggio si leggono; o si leggono con più attenzione solo prima di buttarli via nella domenicale/settimanale/mensile selezione.
Così mi era sfuggito l'articolo di Dario Pappalardo su La Repubblica sempre del 14 settembre dedicato, anch'esso, a Richard Hamilton, altrettanto bello di quello di Vallora.
Così quell'articolo uscito su LA STAMPA non era l'unico articolo apparso sui giornali italiani, come io avevo baldanzosamente affermato.
Ma c'è di più: proprio sotto il titolo era riprodotto il collage di cui avevo messo in testa al precedente post la cartolina. E di questa immagine Pappalardo fa una descrizione simile a quella forse più evocativa di Vallora.
Dunque chiedo scusa: ma viva LA STAMPA e viva La Repubblica!

P.S. Siccome Pappalardo cita la mostra londinese del 1956 "This is tomorrow" aggiungo l'immagine della copertina del catalogo, che così rafforza un filo col precedente post.

A.M.

venerdì 16 settembre 2011

Filing






"Le sue opere forse più celebri [...] sono in fondo dei montaggi perversi e sarcastici d'interni consumistici e malati di perbenismo, ove irrompono, come Superman improbabili, vanitosi culturisti, che però hanno la dimensione fragile d'un cartellone ritagliato, o delle lucide casalinghe nude-cotoletta. che agitano  segnali stradali che non portano da nessuna parte."


Marco Vallora, LA STAMPA del 14 settembre 2011


Credo, ne sono anzi sicuro, che LA STAMPA sia l'unico quotidiano italiano che, in data 14 settembre c.m., abbia dato ampia e informata notizia della morte dell'artista inglese Richard Hamilton: il "decano" del Pop inglese, cioè mondiale.
L'articolo era intitolato "Hamilton, la pop-art in salsa britannica". In effetti il Pop inglese si è distinto per le origini colte, molto europee (Duchampe e persino Picasso). Ma si è distinto anche per i fili che ha annodato tra le varie arti. Facciamo dei nomi: la fotografia (quasi neorealista); Nigel Henderson; la scultura, Eduardo Paolozzi (scozzese); la musica, Paul McCartney; l'architettura, Alison e Peter Smithson.
Mi scuso di citare spesso questi due architetti, importantissimi però per la storia dell'architettura moderna; e per me personalmente.
Ma ci sono fili, per lo più mentali, e privatissimi che ci legano, grandi e piccoli che noi si sia.
L'articolo di Marco Vallora è un piccolo/grande esempio di qualità giornalistica: colto e leggibile; che contribuisce anche a spiegare l'attuale forte crescita de LA STAMPA: ora forse il più bel quotidiano italiano.
Mi sia concesso un ultimo, non secondario filo. Quando Vallora distingue il pop di Hamilton da quello americano, ne fa una descrizione esemplificativa che sembra avere sott'occhio la cartolina (qui riprodotta) che io tengo esposta tra i libri della mostra romana sulla Pop-art nelle Scuderie del Quirinale (2007/2008).
Ancora scusa per l'eccesso di personalizzazione.

A.M.

venerdì 9 settembre 2011

Incredibile gravità



Quando successe mi trovavo in un negozio di elettrodomestici vicino a Poggibonsi e l’immagine della prima Torre che brucia e la seconda che viene colpita dall’altro aereo l’ho vista moltiplicata in decine di televisori esposti nella parete. Poi il crollo, immediato, inarrestabile.

Il primo pensiero: per un aereo di linea è impossibile volare fuori rotta per più di qualche minuto senza che l’Aviazione Militare faccia decollare uno o due caccia per raggiungere l’aereo che non risponde più alle chiamate da terra; ma quel giorno di aerei che avevano staccato il transponder (segno che erano stati dirottati) ce ne erano (forse) quattro e hanno scorrazzato nei cieli degli Stati Uniti indisturbati per più di due ore.
La NORAD, il Centro Coordinamento Difesa Aerea Militare, era evidentemente rimasta inerme mentre gli aerei si schiantavano contro il World Trade Center e i jet rimasero sulla pista di decollo aspettando un ordine che non arrivò mai.

La versione ufficiale vuole che le Torri Gemelle siano crollate per cedimento strutturale dovuto al carburante degli aerei che ha fuso l’acciaio che componeva la struttura.
Un professore di fisica dell’Università dello Utah, Steven E. Jones, ha sempre rifiutato questa versione ed ha affermato che le probabilità che un edificio crolli per via del fuoco e lungo una linea verticale, invece che inclinandosi su un lato, sono una su 400; ma quel giorno a Manhattan questo è successo non per uno, ma per tre edifici: la Torre 1, la Torre 2 e qualche ora più tardi l’edificio n.7. Le probabilità, quindi, che tre edifici crollino esattamente nello stesso modo a distanza di qualche ora l’uno dall’altro sono una su 400 x 400 x 400… e l’edificio n.7 non era neanche stato colpito da un aereo!
Si è da sempre sostenuto che il kerosene contenuto nel serbatoio degli aerei ha fuso la struttura di acciaio degli edifici, ma l’acciaio fonde a 1500° C e solo dopo essere stato esposto per diverse ore a circa 800° C; ma il carburante che brucia raggiunge la temperatura di 900° C al massimo, e ad oggi non esistono altri esempi di edifici in acciaio che, nel giro di un’ora scarsa, crollino per via di un incendio: la temperatura di un incendio non è sufficiente per fondere l’acciaio.

Dopo il crollo, tutta la punta sud di Manhattan sembrava un terreno lunare: la polvere ricopriva ogni cosa. Delle Torri Gemelle non era rimasto niente: non c’era più traccia né di un pilastro (le Torri Gemelle avevano ciascuna 47 pilastri di acciaio nel loro centro), né di blocchi di cemento di grandi dimensioni. Le Torri vennero giù come castelli di carta: caduta la prima carta, cadono tutte.

Se facessimo cadere un metro cubo di cemento da un’altezza di 400 metri (l’altezza delle Torri), il cubo di cemento si schianterebbe al suolo spaccandosi in numerosi pezzi grandi e piccoli, mai polverizzandosi.
Le Torri 1 e 2 (progettate per resistere all’impatto di un Boeing 707 a pieno carico, vale la pena ricordarlo) hanno impiegato 10 secondi per crollare per 110 piani di edificio, vale a dire più di 10 piani al secondo. Considerando che la gravità agisce a circa 10 metri al secondo, avrebbero dovuto impiegare almeno 40 secondi per collassare (e stiamo parlando di caduta libera, senza l’attrito dei solai che cadono l’uno sull’altro). Le Torri Gemelle, quindi, sono crollate più velocemente di un qualsiasi oggetto in caduta libera da un’altezza di 400 metri! Più veloce della gravità!

Tutti questi particolari, il crollo (o l’implosione), lo sgretolamento e l’incredibile velocità nel collassare sono caratteristiche tipiche delle demolizioni controllate, cioè quelle demolizioni ad alto tasso spettacolare che vengono effettuate quando un edificio non serve più. In quel caso vengono posizionate delle cariche esplosive direttamente sui pilastri. Un ulteriore particolare a favore di questa tesi è che nelle successive sei settimane dall’attentato, nelle fondamenta delle tre Torri, continuavano a bruciare pozzi di acciaio fuso; come nelle demolizioni controllate.

Non è facile per nessuno accettare queste possibilità, ma senza dubbio molti indizi ci portano verso quella direzione e ci rendono difficile pensare che i crolli delle Torri siano solo il frutto degli impatti e degli incendi.
A 10 anni di distanza quelle immagini le conosciamo a memoria, con i crolli: quasi in contemporanea, praticamente perfetti, identici. Perciò forse impossibili.
Poi la nuvola di fumo che inghiotte ogni cosa. Poi il silenzio. Ad oggi 10 anni di silenzio.
Nessuno ha mai dato spiegazioni compiutamente attendibili su quanto accaduto quel giorno, anche se quelle immagini ci sono state proposte fino allo sfinimento e alla assuefazione.

Tommaso de Sando

Questo testo rappresenta una personale lettura degli eventi, anche se oggi risulta autorevolmente confermata, almeno per i gravi dubbi mai chiariti.


Fonti:

       William Blake: Isaac Newton                                                            Edoardo Paolozzi: Isaac Newton, la scultura è di fronte
                                                                                                               all'ingresso della British Library di Londra

venerdì 2 settembre 2011

Le risalite?



Gli ingressi delle cosiddette risalite sono comunque nuove porte della città che si aggiungono alle antiche.
Esse dovrebbero perciò dare una sorta di benvenuto, certo, prima di tutto, con la loro qualità tecnico/architettonica.
È logico, quindi, che si cerchi di addobbarle, o di arricchirne il significato con l’annuncio di ciò che la città può offrire ai suoi visitatori oltre la sua intrinseca bellezza. La stessa Porta Camollia volle accogliere con la famosa, e un po’ ruffiana, frase:
“COR MAGIS TIBI SENA PANDIT”.
Oggi tali segnali possono essere invece più effimeri, e riferirsi ad eventi che la città preannuncia imminenti.
Così, in questi giorni, grandi manifesti annunciano la mostra di Milo Manara, il famoso fumettista e disegnatore, che si terrà al Santa Maria della Scala.
Sono notissimi i disegni di questo autore, e ritenuti attraenti, specie con le forme femminili che rappresentano generosamente.
Personalmente direi, come diceva Annibal Caro, “traduttor de’ traduttor d’Omero”. Vengono in mente, infatti, antecedenti tra cui soprattutto Crepax e la sua Valentina. Ma lì si respira un’altra aria, un’altra autenticità. Un altro eros.
L’arte è stata, ed è spesso piena di eros, anche di pornografia; di violento realismo dei corpi: Araki, Hokusai e i tanti giapponesi; il grande Lucian Freud, recentemente scomparso; per fare dei nomi.

            
               Guido Crepax                                                 Gustav Klimt a disagio con Manara

                                                   Hokusai Katsushika

                                                   Lucian Freud

Il Santa Maria della Scala, per decollare in attesa di diventare ciò che dovrebbe essere davvero, e per spendere bene, dovrebbe pescare, semmai, in quel tipo di eros e non nell’erotismo fumettistico, per quanto così abile.
Comunque le “nuovo porte” hanno intanto un loro invito ad entrare.
“CUL MAGIS TIBI SENA PANDIT”



A.M.

mercoledì 17 agosto 2011

La mente libera

                                                                           



Marga Marmoross Sergardi era una persona davvero rara; era come appariva, ma anche esattamente il contrario. Distolta e presente, distante e vicina.
Una cittadina apparentemente appartata e invece partecipe e attiva. Il Teatro, la scrittura, l'insegnamento (volontario e involontario) popolavano la sua esistenza.
Negli ultimi anni più fragile eppure inflessibile. Partigiana, a suo modo; socialista, a suo modo; aperta ai più giovani, a suo modo.
Era perciò un'autentica aristocratica, nel senso vero; senza pompa, né vezzi.
Sapeva essere un'amica a distanza, anche con me.
                                                                                              A.M.



venerdì 12 agosto 2011

Non sparate sul pianista



Tra le fortune che si hanno nel vivere a Siena c’è quella di poter ascoltare dal vivo, grazie alla presenza dell’Accademia Musicale Chigiana, molti illustri esecutori di musica classica, durante una stagione che non conosce soste, dalla invernale Micat In Vertice alla Settimana all’Estate Musicale. Questa fortuna, sostenuta dalle Istituzioni della città e dai cittadini (ma potrebbe/dovrebbe esserci un maggiore coinvolgimenti di questi ultimi), consente esperienze straordinarie e rappresenta una delle più importanti e durevoli ricchezze di Siena: laddove finalmente le tanto sbandierate “eccellenze” trovano giusta corrispondenza con i fatti reali.
La Chigiana, senza ombra di dubbio, è un pilastro della vita culturale senese, e in questi tempi grami rimane uno dei pochi saldi ancoraggi da cui lanciare una sfida ineludibile per il futuro della città: capitale della cultura, europea con certificazione nel 2019 o mondiale senza bisogno di riconoscimenti ufficiali (tantomeno le medaglie di castagnaccio della Brambilla).
Si può e si deve riflettere sul come incrementare o implementare l’offerta musicale della Chigiana, e se da un lato la Direzione artistica della stessa e tutto l’insieme dell’Accademia stanno continuamente elaborando nuovi progetti, dall’altro torna insistente la necessità di dotare la città di un auditorium degno di questo nome (con tanta simpatia per i Rozzi o per i nuovi ma ancora torridi – come prima – Rinnovati), che diventerebbe una vera e propria “industria” culturale capace di produrre cultura, lavoro, ricchezze. E’ questo dell’auditorium un sogno che aleggia da molti lustri (io stesso ne scrivevo più d’un decennio fa) e che ora trova molti sostenitori nei luoghi delle decisioni; purtroppo mancano forse le risorse economiche.
Se la città avesse già un suo auditorium, come Porto, Parma o – per rimanere al piccolo – Ravello, il concerto di martedì 9 agosto l’avrebbe visto pieno in ogni ordine di posti, come sempre accade quando a Siena arriva Maurizio Pollini. Il concerto di Pollini a Siena è una fortuna nella fortuna: ascoltarlo e poi andare a parlare del prossimo palio in contrada è una esperienza che solo qui si può avere.
Pollini è grandissimo, non so dire se il più grande, ma è un punto di riferimento da decenni, anche per la continua ricerca e lo studio sempre innovativo sulle partiture.
Martedì ha eseguito 4 (quattro) sonate del mitico Ludovico Van (come diceva Alex) nel clima oggettivamente antipatico dei Rinnovati: splendido e chiarissimo come sempre, generoso come sempre. Non è questa infatti una recensione. Alla fine del concerto qualcuno si è lamentato per la non concessione di bis, come se un movimento in più fosse dovuto agli scroscianti applausi, come se il concerto non fosse stato uno splendore in sé, oltretutto concluso nella geometria delle sonate scelte, come se Pollini venisse a Siena svogliato e per onor di firma.
Al di là del concerto dell’altra sera, indubbiamente faticoso e probante anche per il clima torrido del teatro, ricordo chiaramente gli aggiustamenti chiesti dal maestro per dare un’acustica decente ai Rozzi (segno di un’attenzione non distratta) o i 7 (sette) bis al termine di un concerto chopiniano di un paio di anni fa.
Mi auguro vivamente che Maurizio Pollini torni a suonare per noi.

Paolo Mazzini

giovedì 4 agosto 2011

Summertime

Il Paese è in pessime condizioni,  la nuova Amministrazione Comunale di Siena sta facendo i primi passi, per ora ancora poco decifrabili per il lungo periodo. Una cosa potrebbe essere fatta, con chiarezza e senza indugi: eliminare i parcheggi da tutte le aree destinate chiaramente per loro origine o forma ai pedoni. Una "piccola riforma estiva".

Noi ci allontaniamo per qualche giorno dal computer, mettiamo in moto le gambe, ma teniamo desta la mente (si spera): architetturepossibili in vacanza.


mercoledì 27 luglio 2011

Le mura rischiano la rovina

Una foto delle mura di Via Campansi
Da qualche giorno pensavamo di segnalare l'incuria in cui versano lunghi tratti delle mura storiche della città, anch'esse parte del Patrimonio dell'Umanità Unesco. Siamo contenti di essere stati preceduti dal reportage fotografico di Simone Benvenuti pubblicato sul Corriere di Siena di oggi. 

Effettivamente la ripulitura e manutenzione delle mura è difficile da realizzare, anche se è nel programma dell'Amministrazione Pubblica da tempo. E' infatti ancora irrisolto l'aspetto della competenza, perché le mura risultano proprietà dello Stato; nonostante ciò devono essere un impegno urgente per la città, che va gestito con decisione, e non è affrontabile con l'atteggiamento superficiale che ha contraddistinto le decisioni in materia di verde urbano negli ultimi tempi ( vedi post  pini stadio  frana San Domenico ). Le mura non mantenute si deteriorano sempre di più fino alla rovina.



Nel 1997 sulle mura c'erano solo fiori spontanei e sullo sfondo l'Appennino.

A.M., taccuino 14, 1997, Biblioteca Comunale degli Intronati