giovedì 9 aprile 2015

Vittime di guerra


in mostra a Bologna
Di Arturo Martini, nella recente mostra a Bologna (settembre 2013 - gennaio 2014), in Palazzo Fava / Palazzo delle Esposizioni, erano esposte le sue grandi terrecotte: tra cui due rare e inedite.
Io ne avevo già viste alcune: ad esempio, a Parigi diversi anni fa, La convalescente in terra refrattaria chiara. La fanciulla, quasi distesa entro una grande poltrona, con un libro aperto posato su una gamba e la testa abbandonata su un guanciale, esprimeva un tale senso di affettuoso rispetto che si traduceva in una disposizione circolare e discosta dei visitatori. Come si visitasse davvero un'ammalata.
La modella era stata la figlia Nena, già immortalata anche in un busto col suo nome, presente nella mostra.
Ma veniamo al motivo per cui mi permetto di rompere ancora le scatole con la mia pur giustificata predilezione per Martini, che va ben oltre la parentela.
Nella bellissima mostra di Bologna erano riunite quasi tutte le sue grandi terracotte, eseguite perlopiù nello studio ricavato entro l'altoforno dell'Ilva, a Vado Ligure; e lì cotte. Per questo nessuna rottura! Per la prima volta nell'epoca moderna.
Era la grande opera intitolata Il cielo-Le stelle (del 1932) a richiamare particolarmente l'attenzione per le sue evidenti mutilazioni. Le due ragazze erano mutilate delle mani, e una, quella seduta ai piedi dell'altra, addirittura decapitata.
E' facile dire che anche con quelle mutilazioni il richiamo di questa opera era grande ma doloroso, perchè la bellezza assumeva un tono imperioso e tragico proprio per quelle mutilazioni. Fino al punto di ignorarle o considerarle quasi un nascosto desiderio non scolpito dell'autore. Ma non è così, ovviamente. Eppure quel particolare tipo di bellezza era davvero inquietante.
Da ragazzo, molti anni fa perciò, avevo ricevuto in regalo da Dario Neri, quel grande senese artista e imprenditore, il libriccino della sua collana Astra Arengarium dedicato proprio ad Arturo Martini. A pagina 24, con il titolo Le stelle, la terracotta era ancora intatta. Ma la sua collocazione: ROMA Coll. Arch. Marcello Piacentini, riletta oggi, doveva avermi aperto una traccia. Forse un'indagine da sviluppare, nel mio piccolo, perchè non sono affatto uno storico dell'arte.
Il "mistero" mi si è chiarito quando ho trovato, alla pagina 169 del libro ARTURO MARTINI, Da "Valori Plastici", una foto, non chiarissima ma evidente, della grande scultura posta nel giardino della villa di Marcello Piacentini: ancora intatta.
Per farla breve: dispiace molto di dover accusare l'ignoranza di un antifascista, forse addirittura un partigiano combattente, che, entrato nella proprietà di Marcello Piacentini, l'Architetto del regime fascista, aveva preso forse a martellate quella magnifica scultura ignorando due cose di troppo. Cioè che la grande arte non è né fascista né comunista, e che la violenza verso quella grande opera d'arte può essere considerata come il surrogato di un omicidio mentale.


da "Arturo Martini", Arengarium, Electa Editrice, Firenze (1949)
ma la foto era precedente.
 "ARTURO MARTINI"
Da "Valori Plastici" agli anni estremi
De Luca edizioni d'arte (Matera, 1989)







PS. Anche la figura cui non fu spezzata la testa, fu però, come si vede chiaramente, privata del naso e degli occhi. Dunque una povera cieca che non ha visto e non vede più né cielo né stelle.

giovedì 2 aprile 2015

Il Santa Maria della Scala e la contemporaneità

Pontormo e Bill Viola a Palazzo Strozzi, 2014
A questo punto dovrebbe essere chiaro a tutti che, se Siena vuole sopravviversi, deve essere ripreso e completato il lavoro di ricostruzione, consolidamento e restauro di parte non piccola del Santa Maria della Scala: che è rovinata, mettendo oltretutto in pericolo le parti già in uso del futuro grande museo.
A proposito di questo, è altrettanto scontato che le linee guida, per non dire il progetto, della realizzazione del più grande museo non solo senese, rimangono saldamente quelle enunciate e scritte da Cesare Brandi fino a Gabriele Borghini.
Inutile, o sbagliato, voler incastrare in quel complesso integrato (conglomerated order, direi seguendo Peter Smithson) troppe cose, soprattutto altri museini, mostre o galleried'arte più o meno contemporanea; o più o meno senese.
Ci sarebbero ben altri problemi di ricollocazione che non questi. Ad esempio, ragionando, perchè non la Maestà di Duccio di Buoninsegna? 
Altri tipi di inserimenti si potrebbero e si potranno fare: ma temporanei e di arte moderna, entro il museo già sistemato. Proprio per questo sarebbe conveniente che le opere da esporre si componessero su superfici vaste, senza appiccicaticci; ma in certi casi lasciando spazio intorno: per poterlo eventualmente usare temporaneamente e con colta intelligenza e consapevolezza realmente moderna. Secondo una valutazione molto scrupolosa, oltre che lungimirante.
Volendo fare proprio un esempio: perchè una volta tanto non "fare come Firenze" come è stato fatto recentemente a Palazzo Strozzi; inserire cioè un'opera contemporanea, anche di diversa fattura materica, e non necessariamente appiccicata alle altre opere esposte. Ma posta comunque in una continuità con quelle tutta mentale e di significato.
L'esempio di Bill Viola a Firenze potrebbe benissimo essere ripetuto (ma ci sono molte altre scelte possibili) mettendolo in continuità percettiva anche se in completa difformità di figura e materia. L'opera di Bill Viola è notoriamente una complessa composizione di tecniche formative, compositive e di materia. In questo caso, di Viola, con un risultato addirittura immateriale.

Domenico Di Bartolo al Santa Maria della Scala (1441)

Bill Viola, The crossing, Salton Sea  (Guggenheim)