mercoledì 30 gennaio 2013

La memoria


Mi ricordo di quando, eravamo nei primi anni sessanta credo, ero un ragazzo perciò, mi affidai il compito di "allestire" una mostra costituita da 400 (quattrocento) fotografie sui campi di sterminio nazisti: nude e crude. E questo nel cortile del Palazzo Pubblico di Siena: spesso scuro anche d'estate. La mostra forse fu in primavera perché non ricordo né caldo né freddo; non ricordo né l'anno né il giorno e non so se c'era già il Giorno della Memoria.
Decisi di attaccare da solo le foto, una per una, sui ferrigni mattoni di quel bellissimo entrone, dove il cielo piomba inquadrato fino a terra: delimitando ancora di più l'alto porticato attorno. Le attaccai tutte, le fotografie, sul lato destro entrando dalla piazza: nel tratto dove la superficie non era interrotta, né ai lati, né in alto, arrivando fino alle volte.
Non voglio dire niente di nuovo, che oggi non si sappia; per me però fu una continua corsa entro l'orrore: fin dentro i dettagli più orribili. Le foto venivano da Modena, erano un po' marroni mi sembra di rammentare; erano senz'altro copie ma, essendo già state mostrate altrove, erano un po' ingiallite: non stese ma un po' svergolate. Perciò autentiche.
Io le attaccai partendo dal basso mentre qualcuno me le passava. Così salii in alto, una foto accanto all'altra: non in file regolari ma come un albero dell'orrore. Tutto in un pomeriggio.
Non dico altro perché volevo dire una cosa sola, in realtà: tutte le mie sensazioni - ed i sussulti che pure ci furono - si concentrarono alla fine nelle mie mani. Un po' accartocciate e asciutte, senz'altro anche polverose: di una polvere sottile. Ma sentivo un odore, o credevo di sentirlo: può suonare ora retorico e me ne scuso.
Ma io sentivo l'odore della morte orrenda, della vita orrenda peggio della morte.

Augusto Mazzini



giovedì 24 gennaio 2013

Aprire le stanze

Leonardo da Vinci. Pianta di Imola.Windsor, Bibl. Reale, n.12284
da "Leonardo architetto e urbanista ", UTET,Torino, sett. 1971

Chi non farebbe oggi, almeno a parole, delle Riforme?
Siamo in campagna elettorale, in quella per le “politiche” le riforme che si chiedono e/o si annunciano possono essere infinite se si considerano le diverse, plurali - e anche personali - declinazioni. Solo Grillo - e mi scuso se ne accenno - farebbe invece saltare tutto: a parole, come si deve in una comica finale.
Ma di riforme, anche radicali, il cosiddetto paese reale ne avrebbe certamente bisogno. Ma che il costo, questa volta, lo paghi di più chi ha di più .

Anche l’urbanistica ha ormai, in Italia, assolutamente bisogno di una riforma quadro: cioè nazionale. Demandandone poi una articolazione più aderente ai luoghi - ma in linea con la formulazione costitutiva - alle Regioni. Nessuna esclusa, comprese cioè quelle cosiddette a statuto speciale: le quali, semmai, dovrebbero distinguersi per maggiore severità.
Nella pratica urbanistica si potrebbe parlare addirittura della necessità di una rivoluzione: paradossalmente, insieme innovativa e conservatrice; nel senso più alto del termine.
Introdurre competenze, strumenti di studio, previsione e controllo, che accolgano continuamente quanto le culture afferenti andranno producendo. E, insieme, mantenere o recuperare gli strumenti della migliore tradizione: dalla lettura percettiva e analitica dei luoghi, all’uso della morfologia, del disegno e della progettualità: cioè dell’approccio concreto e tentativo.
Tutto questo nell’ambito di una azione comune: né demagogica, né supina, ma dialettica e disponibile.
Abbiamo quasi distrutto un patrimonio di competenze e di integrazione culturale, lasciando spazio a norme, sigle, regole e controlli raramente di merito; più spesso, se non sempre, di burocratica deresponsabilizzazione. Ridisegnamo piuttosto competenze e rapporti; conteniamo i passaggi inutili e i pareri parziali e dannosi. Riscopriamo un modo di lavorare più collaborativo; chiudiamo gli angusti uffici dove l’online defunge nel cartaceo.
Apriamo larghe stanze in comune tra tecnici istituzionali, progettisti e competenze specifiche individuali ma necessarie.
Per le città medio-piccole e per parti di grandi città (ove necessario e possibile) cacciamo dalle finestre i rendering prematuri; e dalle porte facciamo rientrare i plastici fattibili, oggi, con materiali nuovi e felicemente sperimentali: almeno fino ai risultati finali. Ma di nuovo pronti e disponibili quando le realtà dei luoghi si evolvono.

Veduta sul nuovo Piano Regolatore di Siena, disegno di Luigi Piccinato (1953?)

Siena, 1965. Alvar Aalto pone la mano sul plastico in gesso (fornito dal Comune di Siena) a segnalare la Fortezza Medicea come perno tra la città storica e le nuove espansioni.

Otranto 1979: il Laboratorio di quartiere promosso da Renzo Piano per la partecipazione alla riabilitazione.

martedì 8 gennaio 2013

Per Luigi Spaventa


Ci ho pensato. Ma credo sia normale che anche io possa ricordare Luigi Spaventa: con affettuoso cordoglio.
Non tanto perché l'ho conosciuto, essendo lui arrivato a Siena per presiedere il Monte dei Paschi, per un periodo, tra l'altro, breve. Lo faccio per due motivi specifici, che si aggiungono ai grandi meriti che già aveva verso la cultura, non solo economica, e verso lo Stato e le sue Istituzioni.
Lo leggevo solo su Repubblica, purtroppo.
I due motivi, dunque. E' stato il primo e l'unico Presidente del Monte dei Paschi a visitare il cantiere, quasi finito ma non inaugurato, del nuovo Centro Direzionale di Viale Mazzini. Non fu una visita tanto per fare; fu invece una visita accurata e interessata, da uomo attento alle cose, alla loro funzione e qualità. Ma senza pedanteria.
Poi si deve a lui se la mia proposta di chiamare Valerio Adami ad arricchire il foyer dell'auditorium fu finalmente accolta. La proposta era stata più volte già avanzata, trovando però ostacoli di dubbia origine nella cincischiante Direzione della Banca, più aperta a inutili sorrisi che a simili decisioni.
Spaventa, uomo invece aperto e con una moglie dalla colta sensibilità per l'arte, dette il via senza indugi.
Ed oggi quella grande pittura pubblica (mt 9x9) è la più importante opera d'Arte Moderna che non solo il Monte, ma la città intera abbiano.
Luigi Spaventa appariva ed era elegante, informale ed ironico: quando ci presentarono al suo arrivo in cantiere mi strinse la mano, inchinandosi.

Augusto Mazzini

lunedì 7 gennaio 2013

A scatola chiusa


Esiste ancora un PD (Partito Democratico) senese? Lasciamo stare quello provinciale, affidato ad un simpaticamente evanescente segretario, dal cognome invece altisonante.
Qui si tratta drammaticamente di quello cittadino, diretto - si fa per dire - da un segretario che più segretario non potrebbe essere. Un segretario domestico, si può dire: nel senso del suo stretto rapporto col dominus, piuttosto che con la domus, sembrerebbe.
Non un cameriere, perciò: ma un fedele seguace, piuttosto.
La vicenda in corso delle primarie per la scelta dei candidati PD (un centro sinistra ormai ridotto) a Sindaco di Siena è, a suo modo, chiarificatrice. Regolata, cioè impacchettata in regole, come peggio non si poteva.
Danneggia tutto e tutti: la affidabilità del PD come tale e gli stessi eventuali concorrenti, nessuno escluso. A questo punto si potrebbe già dire tutti esclusi, meno uno.
E' stato sbagliato tutto lo sbagliabile: a partire dalla "tempistica", come si chiama volentieri nel gergo politichese. Cioè aver fissato l'inizio e la fine dell'istruttoria per la presentazione delle candidature con continui ritocchi temporali, tutti incastrati tra le festività; e due magistrali "distrazioni" divenute, di fatto, sottrazioni.
Nel caso di ammanchi nelle aziende, specie quelle pubbliche, i due termini si equivalgono.
Primo: iniziare le procedure - che dovrebbero avere lo scopo di coinvolgere e sondare almeno gli iscritti e i simpatizzanti - senza conoscere con certezza la data delle relative elezioni amministrative. Anche se ci voleva poco a prevedere che sarebbero andate ben oltre le elezioni politiche: quindi, intralciando queste e andando a primavera inoltrata.
Secondo: anche se è una ipotesi, le scadenze e le regole sono subito sembrate essere registrate facendo riferimento ad un'unica candidatura, certo non obbligatoria, ma evidentemente ritenuta la più idonea o naturale.
Da qui tutto il pasticcio che ne è seguito e che, di certo, non accresce il favore di un elettorato senese che anche un segretario domestico doveva aver percepito essere attraversato da molta indecisione, se non addirittura da disaffezione.
Purtroppo, quando i segretari non vanno, non va anche il partito.
Conviene chiudere, per non farla troppo lunga, con le stesse parole del Segretario Comunale PD uscite due giorni fa sulla stampa cittadina.
"Accolgo con grande soddisfazione (l'incipit vorrebbe essere nello stile Napolitano interpretato da Crozza)  la decisione dell'Assemblea dei sostenitori (!) e dei sottoscrittori (!) di Franco Ceccuzzi di dare una parte delle firme a Bruno Valentini, affinché possa correre (sic!) alle Primarie del centro sinistra. E' un gesto di grande responsabilità e correttezza politica".

Con questa uscita ufficiale, si dimetta Segretario: la domus penso non abbia più bisogno di lei.


Disegni di Saul Steinberg

venerdì 4 gennaio 2013

La severa leggerezza

La ballerina è Giuditta Alfarano Mazzini

E' banale dirlo ancora: ma l'atmosfera in Italia, e anche a Siena, per quello che ci riguarda più da vicino, è davvero pesante. E persino pesante è la convivenza tra il diffuso pessimismo che ne deriva e la contemporanea persistente incoscienza di tanti comportamenti, anche i più quotidiani. Come se sotto ci fosse una specie di speranza scaramantica "che tanto ce la siamo sempre cavata".
Di Siena è meglio non dire: o dire poco, perché tutti lo sanno. Non c'è Ente, Istituzione, Settore, Attività (escludiamo con simpatia i notai e "quelli al nero") che non siano segnate da crisi, anche profonda.
Riguardo alla leggerezza, essa può essere - come una preziosa eredità della fanciullezza - un modo di leggere e affrontare i problemi legando timori e speranze ad una autentica volontà di cercare e trovare soluzioni. Dalle più personali alle più sociali. Ad esempio, riscoprire mestieri, in apparenza i più modesti, che oggi con più estesa conoscenza possono diventare piccoli nuclei di ricerca e innovazione, eccetera..
Ma, prima di tutto, cacciare - se ci sono - quelli che personalmente, o in gruppo, hanno una parte di responsabilità, pur entro una crisi globale.
Quindi cambiare: dove necessario e utile. Democraticamente: dove è giusto. Con una attenzione particolare alla capacità, tutta italiana, di riciclarsi come attori di una farsa. Vincere invece con l'onestà e l'intelligenza della leggerezza, stando cioè al di sopra di ogni finto e illusorio cambiamento.