lunedì 29 ottobre 2012

Ber sani


Il cognome si presta per un titolo che sembrerebbe allusivo al bere; ma qui è usato invece per pura assonanza. C'è qualcosa, infatti, nel modo colloquiale usato spesso da Pier Luigi Bersani, che rimanda al Lambrusco, vinello Emiliano-Romagnolo ricco di bonomia e di sapore vernacolare: come un leggero ammiccamento dialettale rispetto alla lingua volutamente italiana (se esiste) di tanti politici; piccole sterzate che, nel discorso politico, scivolano volentieri verso fantasiose declinazioni.
"Non siam mica qui a smacchiare i leopardi!"; "Non mondiamo mica le pere per mangiar la buccia" (non è vera ma potrebbe esserlo). A volte la frase, pur impegnativa, si spegne invece sbriciolando l'ultima parola...
Niente dunque di allusivo alla pratica del bere; ben diverso l'uso che ne faceva, di tali similitudini, l'umorisa Marcello Marchesi, definando il Presidente della Rebubblica Saragat, "un uomo lambrusco di modi!". Gli piaceva il vino, predilezione certo più nobile di quelle conosciute, si spera fino a ieri, di altri presidenti.
Ho parlato con Bersani una sola volta, quando era Ministro dell'Economia. A Firenze, nell'intervallo di un'assemblea, lo avvicinai per chiedergli di una delle sue "lensuolate": quella che riguardava l'eliminazione delle tariffe professionali (pensavo alle migliaia di architetti italiani).
La risposta fu breve, come un passaggio al terzino: "Di questo se ne occupa Rossi". Secondo me un Rossi un po' inventato: in Italia ce ne sono milioni. Non ebbi tempo, né modo, di citargli la nota lettera di Sébastien Le Prestre, Marquis de Vauban, il grande costruttore di fortificazioni di Luigi XIV; rimaste esemplari quasi fino alla prima Guerra Mondiale. "Caro ministro, se continuerete ad affidare lavori al massimo ribasso, vi troverete circondati o da incompetenti o da imbroglioni".
Ecco un possibile difetto di Bersani: un accenno di liberismo un po' casereccio: poco memore dei suoi studi filosofici. Eppure per il PD, mi sembra oggi una buona scelta votarlo alle Primarie. Lasci fare lo spiritoso al fiorentino Renzi, che non possiede la sua naturale affidabilità.

mercoledì 17 ottobre 2012

Agitare con forza



I Piani Regolatori sono morti: a consolare del triste annuncio rimane la fede. Se avevano un'anima, qualcosa di loro gira ancora tra di noi: perché i Piani Regolatori sono andati oltre la loro "data di scadenza". E qualcuno è ancora mangiabile.
In Italia si sono fatti piani regolatori buoni e piani regolatori sbagliati: c'era comunque una cultura urbanistica che, per quanto quasi completamente monodisciplinare, li accomunava dentro un linguaggio comunque leggibile. Talvolta era solo un dialetto, spesso anche una lingua alta. E gli spropositi si potevano notare a occhio nudo.
Ora siamo, e lo saremo per molto tempo, in una fase che si ama dire "di transizione"; la quale procede per accumulazione di "conoscenze specifiche"; che probabilmente leggono più compiutamente il territorio, ma ne rendono difficile la restituzione in un risultato apprezzabile nelle sue linee essenziali. Perché non disegnano la città e i luoghi per quello che potranno essere: non raccontano niente. Questo vale anche per paesi di poche centinaia di abitanti.
Ogni passaggio, anche secondario, ha oggi una sigla o un nome; ogni settore del presunto sapere ha la sua particolare "cattedra".
Il linguaggio, o il balbettio, che ne esce fuori corrisponde sempre di più ad una burocratica e/o disciplinare competenza. Due obbiettivi sembrano sempre più difficili da raggiungere: il Disegno unitario del Piano; la formazione di Ordinamenti generali (ad esempio Leggi Regionali) che abbiano una sintetica chiarezza "costituzionale". Cioé formata di principi generali espliciti e tra loro conseguenti.
Tutti oggi sono urbanisti e nessuno lo è più. Immane e poco produttivo risulta lo sforzo che compiono alcune Regioni, e l'INU alle sue varie scale, per tenere le fila di una materia ormai disgregata.
In Toscana, ad esempio, l'Assessore competente era partito con idee chiare e concise; e ora sembra navigare generosamente per convegni e incontri. Nel frattempo si sono accumulate Norme e Regole ormai quasi inestricabili, si sono prodotte Sigle che i burocrati e gli apprendisti stregoni dell'urbanistica snocciolano con forse inconsapevole sicumera. Si è ormai riempito un bidone di queste norme, regole, sigle, eccezioni procedurali, competenze, uffici di riferimento, rinvii in fallo laterale di pratiche etc.: che bisognerà, ad un certo punto, rovesciare per capirne il contenuto e il suo sapore/sapere.

disegno di Gordon Cullen da "Il paesaggio urbano, morfologia e progettazione", Gordon Cullen
(The Architectural Press, London, 1961)