venerdì 30 settembre 2011

L'"urbanistica" come strumento di oppressione

da La Repubblica del 29/07/2011

L'attuale Governo Israeliano moltiplica o infittisce infrastrutture invalicabili e insediamenti densi e ambientalmente ostili, fino quasi a soffocare e frammentare gli storici insediamenti Palestinesi.
Beith Jala, Beith Sahour, in sostanza Betlemme, sono come aggredite. Dire questo fa male al cuore e alla mente di chi ha amato e ama gli ebrei per la loro storia. Specie ora che si riaccenderebbero, a livello internazionale, speranze di giuste soluzioni.



martedì 27 settembre 2011

La pedonalità demolita


da Gerard Fromanger


Karl Kraus, con la sua personale rivista “Die Fackel”, La fiaccola, si occupò con grande libertà di critica anche di aspetti apparentemente minuti di Vienna: segnalando e dando indicazioni, “giudice” odiato e temuto. Abbassandosi anche al livello di cittadino comune.
Figuriamoci se non lo possiamo fare noi che già lo siamo.
Io, ad esempio, credo di aver proposto, al momento dell’insediamento della nuova Giunta Comunale, un paio di cose da fare subito: tra cui – come segnale rapido e significativo da attuarsi con decisione – la restituzione ai pedoni dei loro spazi ormai ridotti per lo più ad aree o anfratti di sosta per i veicoli. Spesso addirittura autorizzata, comunque tollerata, dalla pubblica amministrazione e dal suo strumento operativo in materia: la Siena Parcheggi, più attenta, sembra, al proprio bilancio aziendale che al pubblico vantaggio. Non solo in termini di uso specifico degli spazi, ma anche di qualità ambientale di aree fondamentali.
Ormai siamo ad un punto in cui la pedonalità  senese, vanto storico della città, è in grave crisi ed è di nuovo necessario, meglio dire indispensabile, un piano integrale ed integrato della mobilità: evitando però di rinviare nel frattempo le possibili immediate azioni.
È per ciò con interesse che ho letto sul tema due conseguenti articoli sul Corriere di Siena: ciò significa che il problema fa parte anche del comune sentire; ma senza troppe illusioni, perché le  persone sono coi pedoni quando sono a piedi, e se lo dimenticano presto quando cavalcano, ad esempio, i cosiddetti motorini. Che cono ormai aggeggi anche costosi, con prolunghe posteriori di grande ingombro.
È con interesse, dicevo, che ho letto sul Corriere di Siena, due articoli, ben fatti, e soprattutto documentati fotograficamente, il 23 e 24 settembre, a firma di Gaia Tancredi e Sara Corti. Da condividere in pieno. Ed era già apparso a riguardo un sintetico e rigoroso intervento di un lettore: sugli attraversamenti urbani fuori norma e pericolosi.
Penso francamente che la Siena Parcheggi sia ormai uno strumento parziale, inadatto e autofagico; forse di quegli organismi da sciogliere (più delle Province) recuperandone, se esistono, le competenze dentro la struttura interna della Civica Amministrazione e, di conseguenza, entro una politica per la città e i cittadini. Andando oltre il cosiddetto Piano di cinque anni fa, del resto mai attuato.
Occorre ora uno studio, con conseguente progetto, della mobilità che tenga insieme la città e il suo più esteso territorio urbano; che preveda infrastrutture e anche mezzi di spostamento di nuova concezione; nuove limitazioni e nuova organizzazione della circolazione di persone e merci; rafforzando morfologicamente la struttura della Siena più grande; ed estendendo subito una sicura e molteplice organizzazione della pedonalità.
Stiamo diventando un paese più povero, rendiamolo più sobrio: meno SUV costosi e motorini; troppi ragazzi e ragazze viziati e uomini maturi al limite della ridicola esibizione.
Siena è già stata capitale europea della pedonalità (1965). Lo può ridiventare, anche se la vedo difficile a causa, soprattutto, della carente cultura della mobilità che è oggi, ormai, solo circolazione diffusa e schizofrenica.

A.M.




"Maledetti Pedoni!!" (2002) di Tommaso de Sando con Paolo Lombardi

lunedì 19 settembre 2011

Filing 2


Chiudevo il precedente post (Filing) scusandomi: e mi è stato detto che non ce n'era bisogno.
E invece si, eccome!
Dico la verità: più giornali si comprano e peggio si leggono; o si leggono con più attenzione solo prima di buttarli via nella domenicale/settimanale/mensile selezione.
Così mi era sfuggito l'articolo di Dario Pappalardo su La Repubblica sempre del 14 settembre dedicato, anch'esso, a Richard Hamilton, altrettanto bello di quello di Vallora.
Così quell'articolo uscito su LA STAMPA non era l'unico articolo apparso sui giornali italiani, come io avevo baldanzosamente affermato.
Ma c'è di più: proprio sotto il titolo era riprodotto il collage di cui avevo messo in testa al precedente post la cartolina. E di questa immagine Pappalardo fa una descrizione simile a quella forse più evocativa di Vallora.
Dunque chiedo scusa: ma viva LA STAMPA e viva La Repubblica!

P.S. Siccome Pappalardo cita la mostra londinese del 1956 "This is tomorrow" aggiungo l'immagine della copertina del catalogo, che così rafforza un filo col precedente post.

A.M.

venerdì 16 settembre 2011

Filing






"Le sue opere forse più celebri [...] sono in fondo dei montaggi perversi e sarcastici d'interni consumistici e malati di perbenismo, ove irrompono, come Superman improbabili, vanitosi culturisti, che però hanno la dimensione fragile d'un cartellone ritagliato, o delle lucide casalinghe nude-cotoletta. che agitano  segnali stradali che non portano da nessuna parte."


Marco Vallora, LA STAMPA del 14 settembre 2011


Credo, ne sono anzi sicuro, che LA STAMPA sia l'unico quotidiano italiano che, in data 14 settembre c.m., abbia dato ampia e informata notizia della morte dell'artista inglese Richard Hamilton: il "decano" del Pop inglese, cioè mondiale.
L'articolo era intitolato "Hamilton, la pop-art in salsa britannica". In effetti il Pop inglese si è distinto per le origini colte, molto europee (Duchampe e persino Picasso). Ma si è distinto anche per i fili che ha annodato tra le varie arti. Facciamo dei nomi: la fotografia (quasi neorealista); Nigel Henderson; la scultura, Eduardo Paolozzi (scozzese); la musica, Paul McCartney; l'architettura, Alison e Peter Smithson.
Mi scuso di citare spesso questi due architetti, importantissimi però per la storia dell'architettura moderna; e per me personalmente.
Ma ci sono fili, per lo più mentali, e privatissimi che ci legano, grandi e piccoli che noi si sia.
L'articolo di Marco Vallora è un piccolo/grande esempio di qualità giornalistica: colto e leggibile; che contribuisce anche a spiegare l'attuale forte crescita de LA STAMPA: ora forse il più bel quotidiano italiano.
Mi sia concesso un ultimo, non secondario filo. Quando Vallora distingue il pop di Hamilton da quello americano, ne fa una descrizione esemplificativa che sembra avere sott'occhio la cartolina (qui riprodotta) che io tengo esposta tra i libri della mostra romana sulla Pop-art nelle Scuderie del Quirinale (2007/2008).
Ancora scusa per l'eccesso di personalizzazione.

A.M.

venerdì 9 settembre 2011

Incredibile gravità



Quando successe mi trovavo in un negozio di elettrodomestici vicino a Poggibonsi e l’immagine della prima Torre che brucia e la seconda che viene colpita dall’altro aereo l’ho vista moltiplicata in decine di televisori esposti nella parete. Poi il crollo, immediato, inarrestabile.

Il primo pensiero: per un aereo di linea è impossibile volare fuori rotta per più di qualche minuto senza che l’Aviazione Militare faccia decollare uno o due caccia per raggiungere l’aereo che non risponde più alle chiamate da terra; ma quel giorno di aerei che avevano staccato il transponder (segno che erano stati dirottati) ce ne erano (forse) quattro e hanno scorrazzato nei cieli degli Stati Uniti indisturbati per più di due ore.
La NORAD, il Centro Coordinamento Difesa Aerea Militare, era evidentemente rimasta inerme mentre gli aerei si schiantavano contro il World Trade Center e i jet rimasero sulla pista di decollo aspettando un ordine che non arrivò mai.

La versione ufficiale vuole che le Torri Gemelle siano crollate per cedimento strutturale dovuto al carburante degli aerei che ha fuso l’acciaio che componeva la struttura.
Un professore di fisica dell’Università dello Utah, Steven E. Jones, ha sempre rifiutato questa versione ed ha affermato che le probabilità che un edificio crolli per via del fuoco e lungo una linea verticale, invece che inclinandosi su un lato, sono una su 400; ma quel giorno a Manhattan questo è successo non per uno, ma per tre edifici: la Torre 1, la Torre 2 e qualche ora più tardi l’edificio n.7. Le probabilità, quindi, che tre edifici crollino esattamente nello stesso modo a distanza di qualche ora l’uno dall’altro sono una su 400 x 400 x 400… e l’edificio n.7 non era neanche stato colpito da un aereo!
Si è da sempre sostenuto che il kerosene contenuto nel serbatoio degli aerei ha fuso la struttura di acciaio degli edifici, ma l’acciaio fonde a 1500° C e solo dopo essere stato esposto per diverse ore a circa 800° C; ma il carburante che brucia raggiunge la temperatura di 900° C al massimo, e ad oggi non esistono altri esempi di edifici in acciaio che, nel giro di un’ora scarsa, crollino per via di un incendio: la temperatura di un incendio non è sufficiente per fondere l’acciaio.

Dopo il crollo, tutta la punta sud di Manhattan sembrava un terreno lunare: la polvere ricopriva ogni cosa. Delle Torri Gemelle non era rimasto niente: non c’era più traccia né di un pilastro (le Torri Gemelle avevano ciascuna 47 pilastri di acciaio nel loro centro), né di blocchi di cemento di grandi dimensioni. Le Torri vennero giù come castelli di carta: caduta la prima carta, cadono tutte.

Se facessimo cadere un metro cubo di cemento da un’altezza di 400 metri (l’altezza delle Torri), il cubo di cemento si schianterebbe al suolo spaccandosi in numerosi pezzi grandi e piccoli, mai polverizzandosi.
Le Torri 1 e 2 (progettate per resistere all’impatto di un Boeing 707 a pieno carico, vale la pena ricordarlo) hanno impiegato 10 secondi per crollare per 110 piani di edificio, vale a dire più di 10 piani al secondo. Considerando che la gravità agisce a circa 10 metri al secondo, avrebbero dovuto impiegare almeno 40 secondi per collassare (e stiamo parlando di caduta libera, senza l’attrito dei solai che cadono l’uno sull’altro). Le Torri Gemelle, quindi, sono crollate più velocemente di un qualsiasi oggetto in caduta libera da un’altezza di 400 metri! Più veloce della gravità!

Tutti questi particolari, il crollo (o l’implosione), lo sgretolamento e l’incredibile velocità nel collassare sono caratteristiche tipiche delle demolizioni controllate, cioè quelle demolizioni ad alto tasso spettacolare che vengono effettuate quando un edificio non serve più. In quel caso vengono posizionate delle cariche esplosive direttamente sui pilastri. Un ulteriore particolare a favore di questa tesi è che nelle successive sei settimane dall’attentato, nelle fondamenta delle tre Torri, continuavano a bruciare pozzi di acciaio fuso; come nelle demolizioni controllate.

Non è facile per nessuno accettare queste possibilità, ma senza dubbio molti indizi ci portano verso quella direzione e ci rendono difficile pensare che i crolli delle Torri siano solo il frutto degli impatti e degli incendi.
A 10 anni di distanza quelle immagini le conosciamo a memoria, con i crolli: quasi in contemporanea, praticamente perfetti, identici. Perciò forse impossibili.
Poi la nuvola di fumo che inghiotte ogni cosa. Poi il silenzio. Ad oggi 10 anni di silenzio.
Nessuno ha mai dato spiegazioni compiutamente attendibili su quanto accaduto quel giorno, anche se quelle immagini ci sono state proposte fino allo sfinimento e alla assuefazione.

Tommaso de Sando

Questo testo rappresenta una personale lettura degli eventi, anche se oggi risulta autorevolmente confermata, almeno per i gravi dubbi mai chiariti.


Fonti:

       William Blake: Isaac Newton                                                            Edoardo Paolozzi: Isaac Newton, la scultura è di fronte
                                                                                                               all'ingresso della British Library di Londra

venerdì 2 settembre 2011

Le risalite?



Gli ingressi delle cosiddette risalite sono comunque nuove porte della città che si aggiungono alle antiche.
Esse dovrebbero perciò dare una sorta di benvenuto, certo, prima di tutto, con la loro qualità tecnico/architettonica.
È logico, quindi, che si cerchi di addobbarle, o di arricchirne il significato con l’annuncio di ciò che la città può offrire ai suoi visitatori oltre la sua intrinseca bellezza. La stessa Porta Camollia volle accogliere con la famosa, e un po’ ruffiana, frase:
“COR MAGIS TIBI SENA PANDIT”.
Oggi tali segnali possono essere invece più effimeri, e riferirsi ad eventi che la città preannuncia imminenti.
Così, in questi giorni, grandi manifesti annunciano la mostra di Milo Manara, il famoso fumettista e disegnatore, che si terrà al Santa Maria della Scala.
Sono notissimi i disegni di questo autore, e ritenuti attraenti, specie con le forme femminili che rappresentano generosamente.
Personalmente direi, come diceva Annibal Caro, “traduttor de’ traduttor d’Omero”. Vengono in mente, infatti, antecedenti tra cui soprattutto Crepax e la sua Valentina. Ma lì si respira un’altra aria, un’altra autenticità. Un altro eros.
L’arte è stata, ed è spesso piena di eros, anche di pornografia; di violento realismo dei corpi: Araki, Hokusai e i tanti giapponesi; il grande Lucian Freud, recentemente scomparso; per fare dei nomi.

            
               Guido Crepax                                                 Gustav Klimt a disagio con Manara

                                                   Hokusai Katsushika

                                                   Lucian Freud

Il Santa Maria della Scala, per decollare in attesa di diventare ciò che dovrebbe essere davvero, e per spendere bene, dovrebbe pescare, semmai, in quel tipo di eros e non nell’erotismo fumettistico, per quanto così abile.
Comunque le “nuovo porte” hanno intanto un loro invito ad entrare.
“CUL MAGIS TIBI SENA PANDIT”



A.M.