venerdì 25 ottobre 2013

Mal Comune

 

Il complesso residenziale con attrezzature e servizi (così è definito su Italia. Gli ultimi trent’anni, Zanichelli, 1988) identifica ancora, con la sua consistenza morfologica, il punto più alto dell’agglomerato urbano composto da Torre Fiorentina, Petriccio e Acqua Calda, cioè l’espansione più consistente della città di Siena.
  Ma quel complesso non è più come nacque (1972/1975); né come, in anni successivi, fu più volte pubblicato.
La prima volta fu L’Architettura, cronaca e storia, rivista diretta da Bruno Zevi (n. 11 nov. 1980) con la significativa presentazione di Carlo Nepi.
Nè è come appare più tardi in altre pubblicazioni: come il volume L’Architettura civile in Toscana, dall’Illuminismo al Novecento (2002), ultimo della fondamentale collana curata da Amerigo Restucci.
Dunque un complesso architettonico di interesse generale, risultando infatti inserito tra le opere di rilevante interesse storico-artistico, censite a cura della Fondazione Michelucci (L’architettura in Toscana dal 1945 a oggi (2011).
Purtroppo tutto quello che si vede in queste pubblicazioni non corrisponde però alla reale condizione odierna di quell’architettura e i suoi spazi .
Quasi un autentico disastro, invece!


  Mi vergogno a dire che erano più di venti anni che non visitavo quel luogo da me progettato,  con la preziosa collaborazione di Giovanni Barsacchi. Vedendolo da lontano, nella silhouette del quartiere, sembra inalterato.
Ora è un’altra cosa: non solo per l’assenza di ogni normale e doverosa manutenzione, ma anche per la miriade di manomissioni che hanno reso quel possibile organismo urbano una brutta kasbah, piena di abusi (architettonici, non legali si spera), di alterazioni, di interventi privi di ogni coordinamento tra di loro e di intelligente dialogo con quella architettura.
  Molte attività, che hanno trovato posto nei volumi esistenti allo scopo, si sono alloggiate come ospiti abusivi alla ricerca di un posto: senza aggiungere qualità, anzi.
Eppure la presenza di queste attività, anche socialmente essenziali, doveva essere il sangue che avrebbe reso quel complesso un pezzo, vivo e vitale, di un futuro Centro del grande quartiere, ormai da integrare come un vero pezzo della città.
  Chi oggi cammina per quei percorsi esterni e interni già esistenti si accorge che le localizzazioni e il modo come sono state, funzionalmente e formalmente, definite denota l’assoluta mancanza di un coordinamento continuo e di alta capacità.
Bastano anche certi dettagli a indicarlo. Si procede incontrando un groviglio di cattive e mancate soluzioni, più povere che modeste. Tubi che si innestano tra di loro in modo stabilmente posticcio; alcuni di essi appoggiano sul suolo come immobili serpenti; non c’è alcun segnale coordinato che indichi direzioni e localizzazioni.
La pavimentazione degli spazi pubblici era fatta da grandi piastrelle di cemento, di forte spessore, che senza manutenzione avranno presentato nel tempo dei problemi  (certo risolvibili): essa è stata ridicolizzata dal rivestimento con piastrelle a colori dissonanti di per sé, formando inoltre dislivelli dovuti a semplicistiche sistemazioni.
Chi ha progettato o diretto, e realizzato tutto ciò? Perché il progettista dell’insieme non è mai stato nemmeno consultato per esprimere almeno un parere?
Per non parlare, poi, della assurda e orribile costruzione, attorno alla leggera copertura metallica esistente, di un centro bocciofilo sistemabile altrimenti: che invece toglie luce, aria e significato a quello spazio ampio, leggero e luminoso.
  Confesso che, per me, la “visita” è stata deprimente; perciò capisco benissimo il giudizio, non richiesto, che una signora di età mi ha espresso: “Tutto uno schifo, va a pezzi …”, o qualcosa di simile.
Ma limitiamoci ora a poche ed esemplificative considerazioni.
Il comportamento della (delle) proprietà: il Comune essenzialmente, e gli altri; cioè Cassa di Previdenza MPS, Diritto allo studio (cioè Università) e altri. Ma il peso e la responsabilità del Comune (Assessori del ramo e tecnici inadeguati) sono stati determinanti.
Già durante la edificazione si avvertì un primo modesto segnale di ottusità burocratica: la piccola rotonda incavata nel grande spazio aperto all’interno del complesso, che ormai si legge solo nelle foto “storiche”, fu ritenuta pericolosa per i due gradoni a sedile, e recintata da balaustre. Più tardi, come ora si apprezza, fu riempita addirittura di terra e trasformata nella tomba di se stessa (vedi immagine relativa).
Fu il primo segnale: i seguenti sono stati ben più pesanti: vedi le inutili balaustre per mettere a norma gli innocui e misurati parapetti.
Quello che poi è avvenuto dal 1990 circa in poi è di tale gravità da risultare, oggi, devastante per la qualità dell’insieme.
  Primo, l’evidente assenza di ogni attività di manutenzione, anche ordinaria, che ha lasciato deperire tutto: materiali e condizioni generali degli edifici. Ad esempio: le verniciature degli infissi e dei grandi tubi di aspirazione avevano anche la funzione (certo estetica) di rendere più vivi i grandi prospetti in mattoni. E’ da pensare che la mancanza di manutenzione abbia compromesso anche la condizione delle coperture e il funzionamento di qualche impianto.
  Sono intervenuti altri progettisti? Comunali o anche professionisti; o chi altro? Mi ricordo solo della gentilezza professionale di Sandro Bagnoli che mi chiese, diversi anni fa, se poteva fare una garbata apertura. E il Comune, principale responsabile di questo disastro? Troveranno , il Sindaco e una Giunta profondamente rinnovata, i modi, la volontà e i mezzi per restituire dignità a quei luoghi affinché, in prospettiva, facciano parte integrante di un nuovo e ampio Centro che quella parte di Città merita?
Io, è facile confessarlo, sono solo mortificato.


PS.
Si può tornare alle origini?
Quando tutto era a riparo dalla imbecillità burocratica delle assurde messe in sicurezza.


mercoledì 9 ottobre 2013

Caro Senatore


In questi giorni, ormai lunghi e pesanti come mesi, troppe cose sono successe che non consentono di essere affrontate in un blog come questo; né, al contrario, si può ricadere nelle cose più piccole e cittadine, di per sé anche degne di interesse.
Così, approfittando dell'arrivo dell'ultimo numero di Casabella (830), mi limito a sottolineare, come è giusto, la nomina di Renzo Piano a Senatore a vita da parte del Presidente Giorgio Napolitano, il 30 agosto 2013. Intanto la bellissima foto della copertina di Stefano Goldberg (2007?). Poi è giusto esprimere una viva condivisione (alla Napolitano) della nomina. Non solo perché è davvero il miglior architetto italiano - e non da ora - e uno dei più grandi in assoluto. Molti nomi dell'odiosa classifica degli archistar sono ormai caduti o appassiti: il suo invece no. Anzi, il tempo lo libera da antipatici e modaioli confronti.
Un motivo in più per rallegrarsi della sua significativa nomina l'ho trovato nel breve testo su Casabella (pag. 5):
"Ha onorato l'architettura e contribuito a tenerne alto il nome. Lo ha fatto attenendosi al culto della misura."
Parlando di Piano, e in generale del carattere distintivo di tutte le buone architetture, ho usato spesso, anch'io, questa parola: misura. Riconoscendo, cioè, a questo termine, a questa parola, la capacità di cogliere un tratto di tutta la migliore (e grande) arte italiana. Che attraversa persino l'Italia degli anni difficili, del Fascismo.
Non è questione di forma e volume, ma di rapporti più intrinsechi, di elementi di classicità che entrano dentro le opere dando loro un tratto genetico di interiore ma percepibile qualità: addirittura una garanzia di lunga presenza. Come per i visi di certe persone, la misura ne esprime la fisionomia interiore, più che una semplicistica bellezza. Si può parlare di astanza, termine creato da Cesare Brandi?
Una parola - misura - che va oltre le forme, gli stili, le tecniche. Nel caso di Piano, ad esempio, sta anche oltre le dimensioni e le tecnologie, a volte al limite della esagerazione. Terrei fuori, perciò, l'Aula liturgica per Padre Pio, pur ammirandone la mostruosa costruzione degli enormi archi di marmo animato dai cavi d'acciaio.