mercoledì 23 novembre 2011

Dal merito al talento

                            
Il merito oggi sembra comporre, insieme a onestà e dignità, la triade di valori che dovrebbe impregnare di sé l'azione politica e amministrativa: cioè il governo a qualsiasi scala esso sia. Questo per far emergere la buona politica affinché sconfigga l'antipolitica: il qualunquismo, si sarebbe detto una volta, aperto alle più squallide e pericolose avventure.
Per le persone che sono dentro le pubbliche amministrazioni, o che aspirano ad entrarci (oggi le porte sono strettissime data la crisi) si tratta di valutarne le capacità ad esercitare il ruolo in cui già sono, per essere promosse; o a cui dovranno accedere per la prima volta. A giudicarle saranno di norma persone che guidano la struttura o comunque hanno in essa funzione di comando, direzione, controllo. Non sarebbe meglio affidarsi, totalmente o parzialmente, a persone esterne che siano dotate di accertata e specifica competenza e, insieme, di comprovata autonomia di giudizio? E magari capaci di trarsi fuori dalla attuale foresta della miriade di norme che hanno burocratizzato, e nello stesso tempo avvilito, le strutture amministrative; rovesciandosi alla fine sul cittadino. Certo un taglio drastico della foresta falsamente garantista sarebbe una delle riforme più urgenti.

Ma le pubbliche amministrazioni, e anche quelle di tipo pubblico, hanno spesso il problema di affidare all'esterno incarichi: consulenze, studi, progetti, etc. Allora qui non c'entra più, anche perché risulterebbe ambiguo, il merito. C'entra la qualità: professionale, creativa, collaborativa, etc. Fino ad arrivare, in casi specifici - ad esempio le prestazioni progettuali o artistiche - al talento.
Si è visto che i concorsi, che dovrebbero essere la strada più adatta per la scelta, in realtà non lo sono affatto. In Italia, spesso, sono anzi il luogo, l'occasione, in cui prevalgono, anche subdolamente, le trasversalità: di cui la nostra società è oggi ricca. Il PIL (davvero "prodotto interno lordo") delle trasversalità è l'unico che cresce: partiti e loro correnti o camarille, massonerie di vario tipo (vere o presunte), appartenenza a concatenazioni poco chiare che, da minoranza offesa, si sono magari trasformate in potenti lobby sotterranee, etc. Diciamo la verità: in questi casi il talento spesso non ha scampo. Sarei in grado di fare diversi esempi di concorsi di progettazione urbanistico-architettonica, che oltretutto non hanno generato alcuna realizzazione. 

Etimologicamente talento nasce in Grecia come unità di misura di peso, moneta: dunque un valore concreto.
Oggi è molte qualità insieme; quando il talento è grande, è in sé una qualità concentrata. Certamente esso, se è tale, è anche garanzia di libertà, autonomia, coraggio.
Ha scritto Giuseppe Mazzini:"Bisogna ch'io rappresenti in atti quella ch'io credo verità. Non devo nascondere sotterra il talento, ma farlo fruttare".
C'è poi chi ha scritto che oggi "più della qualità conta l'opportuno tacere". E il talento, come si è visto, è, rispetto alla qualità, un gradino ben più alto.
Dunque ancora più difficile da riconoscere anche con gioia, come si dovrebbe.

A.M.

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